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Calco di gesso di un giovane che con le mani si copre il volto

Le urla delle mummie di gesso

Chiunque sia stato a Pompei è rimasto turbato, emozionato, incuriosito… dai calchi in gesso di uomini, donne, bambini, animali.

Durante l’eruzione del Vesuvio del 79 le vittime rimasero intrappolate sotto un manto di lapilli e di cenere. Durante le prime indagini archeologiche dell’antica Pompei gli archeologi si trovavano di fronte spazi vuoti che si aprivano sotto i loro strumenti. Compresero che gli spazi vuoti erano stati occupati da materiali organici come corpi umani o animali i quali avevano subito il normale processo di deterioramento, lasciando la loro impronta. Bisognava allora far ‘resuscitare’ quei corpi volatilizzati dal tempo!

La tecnica dei calchi consiste nel riempire di gesso liquido il vuoto lasciato dai corpi ormai dissolti nella cenere e nel materiale vulcanico. Questa tecnica viene usata solo a Pompei, mentre ad Ercolano è possibile solo il recupero dei resti ossei a causa della diversa natura del materiale che ricoprì la citta. Questi calchi, conservati nell’Antiquarium di Pompei, costituiscono, dunque, un’eccezionale testimonianza documentale delle persone e animali che vissero e morirono in quella tragedia immane che fu l’eruzione dello “sterminator vesevo”.

Nel gesso si legge addirittura il dolore dei volti. Le espressioni dei volti o la posizione rannicchiata dei corpi trasmettono la sensazione di orrore, paura davanti ad una natura soverchiante e terrifica che colse quelle genti. In chi guarda sale una emozionante com-partecipazione al dolore dei nostri simili, ma anche si rimane commossi davanti ai calchi degli animali.  In seguito agli scavi archeologici dell’antica Pompei è stata ritrovata una casa di epoca romana: la casa di Orfeo, così chiamata perché al suo interno si conserva un affresco raffigurante Orfeo. Nell’atrio dell’edificio fu realizzato un calco di un cane, rimasto intrappolato poiché legato al guinzaglio e morto soffocato. La colata di gesso, oltre alla drammaticità dell’espressione dell‘animale, ha permesso di accertare la presenza di un collare in cuoio con due anelli di bronzo. Il calco non fu facile da eseguire a causa della posizione contratta dell’animale morente. Le dimensioni dell’animale e il luogo del ritrovamento, l’ingresso, fanno supporre che fosse un segugio di gran taglia utilizzato per la guardia. Probabilmente fu dimenticato in casa, cercò di liberarsi invano e morì assumendo una posizione innaturale. Le zampe anteriori sono protese verso l’alto mentre la bocca è rimasta aperta a causa dei vapori.

Recentemente è emersa un’intera stalla con resti equini. La tecnica dei calchi ha anche consentito agli archeologi di identificare ciò che rimane di una mangiatoia e di un cavallo che non ebbe modo di scappare. L’animale poggia sul suo fianco sinistro, ma gli arti risultano manomessi. I resti scheletrici visibili dell’animale mostrano una buona ossificazione riconducibile ad un individuo adulto. Mostra un’altezza di circa 150 cm, dimensioni importanti considerando che i cavalli risalenti a quel periodo erano di taglia ridotta rispetto a quelli attuali. Inoltre presenta, ai bordi del cranio, finimenti in ferro con piccole borchie in bronzo che suggerirebbero la sua appartenenza ad una categoria “nobile”.  

Il gesso scrive vere storie strazianti fissando un istante e riportandolo alla luce dopo millenni. Una famiglia colta dalla furia implacabile della natura: un padre osserva impotente e disperato la moglie e il figlio che giacciono sul suolo nell’agonia e nel dolore. L’uomo si solleva appena, come se volesse aiutarli, ma è consapevole di non potercela fare: può solo assistere con tormento e rassegnazione alla scena terribile.