Eruzione in diretta
Plinio il Giovane, nella prima lettera a Tacito, descrive così l’inizio dell’eruzione e lo sviluppo della colonna eruttiva, che egli, insieme allo zio, osserva da Miseno.
Oggi, il 24 agosto, è trascorsa appena un’ora dopo mezzogiorno. Vedo una nuvola che appare solo ora, mai vista prima per grandezza e figura. La nube si leva, non sappiamo con certezza da quale monte, poiché guardiamo da lontano; solo dopo un po’ scopriamo che il monte è il Vesuvio. La sua forma è simile ad un pino più che a qualsiasi altro albero.
Come da un tronco enorme la nube svetta nel cielo alto e si dilata e quasi mette rami. Credo, perché prima un vigoroso soffio d’aria l’ha spinta in su, poi, sminuito, l’ha abbandonata a se stessa o, anche perché il suo peso l’ha vinta, la nube si espande in un ampio ombrello: a tratti riluce d’immacolato biancore, a tratti appare sporca, screziata di macchie secondo il prevalere della cenere o della terra che ha sollevato con sé.
Dopo poco tempo già sulle navi la cenere cade, più calda e più fitta man mano che ci avviciniamo; già cadono anche i pezzi di pomice e pietre annerite ed arse e spezzettate dal fuoco; già, inatteso, un bassofondo e la riva, per la rovina del Monte impedisce lo sbarco. Ho un momento di esitazione, se debba tornare indietro e il timoniere così mi consiglia, ma io subito gli rispondo: “la Fortuna aiuta gli audaci. Raggiungi Pomponiano!”
Lì Pomponiano ha fatto caricare su navi il bagaglio ed è determinato a fuggire, se il vento contrario si placasse. Per me, invece, il vento soffia molto propizio e posso riuscire a sbarcare. Abbraccio il mio trepido amico, lo consolo, gli faccio coraggio.
Frattanto dal Monte Vesuvio rilucono in più di un punto estesi focolai di fiamme ed alte colonne di fuoco: il loro fulgore spicca più chiaro sulle tenebre della notte.Stanotte, ospitato nella villa dell’amico, mi ritiro nel suo appartamento, e mi addormento. Ma a un certo punto vengo svegliato, poichéil cortile da cui si accede all’appartamento, per cumulo di cenere e lapilli, ha tanto accresciuto il suo livello che, se indugio ancora nella stanza, non posso uscirne più. Esco fuori e mi ricongiungo a Pomponiano e gli altri che non hanno ceduto al sonno.
Discutiamo tra di noi se sia interesse comune rimanere dentro l’abitazione o vagare all’aperto. La casa, infatti, vacilla per frequenti e violente scosse di terremoto, e, quasi divelta dalle sue fondamenta, pare ondeggiare ora qui ora là, e poi ricomporsi di nuovo in quiete.
D’altronde, all’aperto si teme la caduta di lapilli, anche se lievi e corrosi. Tuttavia si confrontano i rischi e scegliamo di uscire all’aperto. In me, pensiero su pensiero prevale, negli altri paura su paura. Mettiamo dei guanciali sul capo e li leghiamo fortemente con teli: in tal modo ci difendiamo dalla pioggia di lapilli.
Già altrove è giorno, qui è notte: una notte più fitta e più nera di tutte le altre notti. Tuttavia la rischiarano molte bocche di fuoco e varie luci.
Decidiamo di raggiungere la spiaggia e di vedere dal punto più vicino possibile se ormai il mare consenta un tentativo di fuga. Ma il mare ancora grosso continua ad essere contrario. E qui vedo solo buio . . .